La mostra vuole fornire al visitatore il senso ed il significato dell’occupazione dell’area prima, durante e dopo la fondazione monastica: il monastero resta dunque il fulcro della narrazione e ad esso sarà dedicato lo spazio maggiore, cercando di non perdere di vista i vari momonti che, in maniera diacronica, hanno caratterizzato l’occupazione del sito.
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‘Lo scavo di San Michele alla Verruca rappresenta una delle più lunghe esperienze archeologiche (1996-2003) che abbiano interessato un sito dell’Italia medievale e, sicuramente, il primo monastero estesamente indagato di tutta quanta la Tuscia. Un cantiere, quello di San Michele, che ha vi
sto la sperimentazione di metodi diagnostici non nuovi, ma ancora poco presenti nelle operazioni di recupero e restauro dei grandi monumenti architettonici o di aree archeologiche nel nostro Paese; che ha registrato la presenza di oltre 250 tra studenti e dottorandi di diverse università italiane e straniere, tra cui Venezia, Parma e Pisa (insieme ad un folto gruppo di volontari dell’Archeoclub di Pisa); che è stato anche luogo di studio e di formazione per giovani ricercatori, che hanno scelto nuclei tematici legati al San Michele per farne oggetto di tesi di laurea o di dottorato. Un cantiere aperto, dunque, sensibile agli orientamenti della ricerca nazionale ed anche terreno di dibattito e di discussione continui (come credo abbia dimostrato l’incontro organizzato nel 2000 a Uliveto Terme).
Siamo abituati a pensare che il nostro patrimonio culturale (dunque anche archeologico) sia essenzialmente costituito di manufatti e di oggetti portatori di valori universali, ma anche condensatori, di per sé, della nostra memoria storica: proprio per questo, dunque, da preservare, proteggere, tutelare. Non vi è dubbio che sia così. Tuttavia, e a maggior ragione per le fonti archeologiche, sbaglieremmo se confinassimo solo nelle potenzialità informative autoreferenziali degli oggetti l’unica possibilità che abbiamo per accedere alla conoscenza del passato. Risiede invece nelle capacità di comprendere i nessi tra le “cose”, e tra queste e il territorio, che dobbiamo riconoscere il nostro obbiettivo; ed è su questo che dobbiamo concentrare la nostra azione, anche di tutela, facendo in modo che non si perdano irreparabilmente le opportunità che ancora ci vengono offerte.
Se la Mostra sull’esperienza dello scavo del San Michele riuscirà ad andare al di là della semplice elencazione ed esposizi
one degli oggetti, ma saprà raccontare anche fatti e storie, descrivere comportamenti e fenomeni, rappresenterà, come era negli auspici di chi ha fortemente creduto in questo progetto, una tappa utile nel processo di conoscenza del nostro passato.’
Sauro Gelichi
(Università Ca’ Foscari, Venezia)