La mostra
Le sale di Palazzo Pretorio ospitano una mostra permanente dei reperti più rilevanti proveniente dallo scavo archeologico del Monastero di San Michele alla Verruca, riduzione della più ampia ‘L’Aratro e il Calamo: Benedettini e Cistercensi sul Monte Pisano’, ospitata sempre da Palazzo Pretorio nel periodo giugno 2005 – gennaio 2006.
Visite guidate sono possibili negli orari di apertura del Complesso Monumentale di Palazzo Pretorio e Rocca del Brunelleschi.
I reperti esposti sono il risultato della campagna di scavo diretta dal dal Prof. Sauro Gelichi dell’Università “Cà Foscari” di Venezia, in collaborazione con l’Archeoclub di Pisa ed i Comuni di Vicopisano e Calci.
La mostra vuole fornire al visitatore il senso ed il significato dell’occupazione dell’area prima, durante e dopo la fondazione monastica: il monastero resta dunque il fulcro della narrazione e ad esso sarà dedicato lo spazio maggiore, cercando di non perdere di vista i vari momonti che, in maniera diacronica, hanno caratterizzato l’occupazione del sito.
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‘Lo scavo di San Michele alla Verruca rappresenta una delle più lunghe esperienze archeologiche (1996-2003) che abbiano interessato un sito dell’Italia medievale e, sicuramente, il primo monastero estesamente indagato di tutta quanta la Tuscia. Un cantiere, quello di San Michele, che ha vi
sto la sperimentazione di metodi diagnostici non nuovi, ma ancora poco presenti nelle operazioni di recupero e restauro dei grandi monumenti architettonici o di aree archeologiche nel nostro Paese; che ha registrato la presenza di oltre 250 tra studenti e dottorandi di diverse università italiane e straniere, tra cui Venezia, Parma e Pisa (insieme ad un folto gruppo di volontari dell’Archeoclub di Pisa); che è stato anche luogo di studio e di formazione per giovani ricercatori, che hanno scelto nuclei tematici legati al San Michele per farne oggetto di tesi di laurea o di dottorato. Un cantiere aperto, dunque, sensibile agli orientamenti della ricerca nazionale ed anche terreno di dibattito e di discussione continui (come credo abbia dimostrato l’incontro organizzato nel 2000 a Uliveto Terme).
Siamo abituati a pensare che il nostro patrimonio culturale (dunque anche archeologico) sia essenzialmente costituito di manufatti e di oggetti portatori di valori universali, ma anche condensatori, di per sé, della nostra memoria storica: proprio per questo, dunque, da preservare, proteggere, tutelare. Non vi è dubbio che sia così. Tuttavia, e a maggior ragione per le fonti archeologiche, sbaglieremmo se confinassimo solo nelle potenzialità informative autoreferenziali degli oggetti l’unica possibilità che abbiamo per accedere alla conoscenza del passato. Risiede invece nelle capacità di comprendere i nessi tra le “cose”, e tra queste e il territorio, che dobbiamo riconoscere il nostro obbiettivo; ed è su questo che dobbiamo concentrare la nostra azione, anche di tutela, facendo in modo che non si perdano irreparabilmente le opportunità che ancora ci vengono offerte.
Se la Mostra sull’esperienza dello scavo del San Michele riuscirà ad andare al di là della semplice elencazione ed esposizi
one degli oggetti, ma saprà raccontare anche fatti e storie, descrivere comportamenti e fenomeni, rappresenterà, come era negli auspici di chi ha fortemente creduto in questo progetto, una tappa utile nel processo di conoscenza del nostro passato.’
Sauro Gelichi
(Università Ca’ Foscari, Venezia)
Cataloghi
A corredo della mostra sono stati stampati il catalogo e la guida della stessa a cura di Felici Editore, Pisa:
- L’ Aratro e il Calamo. Dieci anni di archeologia a San Michele alla Verruca : Benedettini e Cistercensi sul Monte Pisano / a cura di Sauro Gelichi e Antonio Alberti ; testi Antonio Alberti, Federico Andreazzoli, Monica Baldassari …[et al.] – Pisa : Felici, 2005
- Il Monastero di San Michele Arcangelo alla Verruca. Una storia lunga mille anni : guida alla mostra / Antonio Alberti. – Pisa : Felici, 2005
Per saperne di più:
I reperti
Lo scavo di un sito come San Michele alla Verruca, specialmente se effettuato per un arco cronologico così ampio, produce ovviamente un gran numero di reperti.
Proprio lo studio di questo materiale permette di ricostruire con buona precisione l’evolversi del sito e le sue caratteristiche peculiari: la sua centralità o perifericità rispetto alle vie di commercio, la sua minore o maggiore ricchezza, i momenti di splendore o di abbandono. I reperti vengono a costiture il lascito più prezioso che un’area archeologica possa restituirci, e questo non tanto per il loro valore intrinseco, che pure può esistere, ma soprattutto per la messe di informazioni sulla cultura e sulle forme di insediamento che hanno caratterizzato quel sito specifico.
I reperti metallici
Nelle varie sezioni della mostra sarà possibile osservare reperti in metallo e quelli in pietra limitatamente ai proietti per armi da gitto. Si tratta di un insieme piuttosto ampio (243 reperti a cui vanno aggiunti più di 2000 frammenti di chiodi) e soprattutto variegato, pur in una grande povertà numerica per quello che riguarda le fasi insediative del sito prima della seconda metà del XIII secolo. Esso appare significativo – dal punto di vista crono-tipologico e da quello funzionale – soprattutto per alcune categorie di oggetti che verranno analizzate con un maggiore dettaglio, quali, ad esempio, i dardi da balestra e le fibbie.
I reperti sono stati suddivisi per appartenenza ai Periodi definiti su base stratigrafica; per ogni Periodo sono riuniti in tre gruppi funzionali: “carpenteria e arredamento”, che comprende tutti gli oggetti legati a strutture edilizie e arredamenti come chiodi, cerniere, gangheri, bandelle, ganci da muro; “strumenti”, che comprende tutti gli oggetti da lavoro e di uso strumentale (coltelli, lame, punteruoli, contenitori, etc.), la ferratura e i finimenti di cavalli, asini e muli; “abbigliamento”, che comprende i reperti legati al vestiario (fibbie, catenelle, placche ed elementi decorativi) e gli accessori (anelli ed altri oggetti personali di pregio). Nonostante il considerevole numero totale dei reperti in metallo rinvenuti nel sito, l’analisi di questi oggetti non ha prodotto, in genere, informazioni di tipo funzionale sulle diverse aree del monastero. Il principale motivo è che la grande maggioranza di essi appartiene a fasi di occupazione sporadica del sito, non legata alla vita monastica. L’impressione generica che si potrebbe ricavare dall’insieme dei reperti metallici sarebbe addirittura quella di trovarsi di fronte alla cultura materiale di un insediamento prettamente militare. D’altra parte le dinamiche di abbandono del complesso, distribuite in un periodo relativamente lungo, hanno permesso probabilmente di asportare nel tempo quegli oggetti che ci avrebbero consentito di cogliere aspetti funzionali dei contesti.
I reperti litici
Al pari di altri edifici di culto monastici coevi, attestati anche nel medesimo territorio, la chiesa di San Michele presentava nella fase finale un’icnografia ad aula unica absidata con transetto (Vedi Pianta), in origine delimitato da archi a tutto sesto e probabilmente voltato a botte o crociera. Le indagini archeologiche che hanno interessato il complesso per circa un decennio, comprensive dell’analisi degli elevati, hanno riferito alla prima metà del XII secolo il cantiere romanico.
Sono gli anni in cui l’ente, precedentemente nell’orbita del vicino monastero di Sesto, assume indipendenza ed è al centro di numerosi negozi economici . Tale floridezza consente l’apertura di una cava di verrucano sul Monte Pisano e la ricostruzione del complesso in osservanza alle scelte operate dagli ordini riformati tra XI e XII secolo, in primo luogo sviluppo planimetrico, dimensioni ridotte e semplicità degli apparati architettonici . L’iconografia a croce rivela nelle dimensioni l’osservazione del modulo e di elementari criteri geometrici, sui quali come è noto era ritenuto basarsi l’equilibrio statico degli edifici . Come è infatti possibile constatare, nella costruzione fu osservato un semplice rapporto proporzionale (4:1; 3:1) basato sulla misura inferiore dell’aula, corrispondente a 11 braccia lucchesi.
Lo studio dei materiali lapidei, quantitativamente modesti, ha in primo luogo rivelato la scarsa presenza di elementi decorativi, ad eccezione di una mensola e di un frammento di problematica interpretazione, entrambi con decorazione vegetale. Non sono stati rinvenuti elementi scultorei, o parti ad essi pertinenti, riferibili alla decorazione dei portali o capitelli, genericamente riscontrabili in altri edifici del territorio, come nei casi di S. Mamiliano di Lupeta, S. Andrea di Lupeta, S. Maria di Mirteto . Sembrano assenti elementi da ricondurre al chiostro, come colonnine, basi e capitelli. Un’eccezione è costituita dalla colonna a sezione quadrangolare, rinvenuta nell’ambiente adiacente la sala capitolare, probabilmente riferibile ad un’apertura del piano superiore . Alcune colonnine rastremate, rinvenute in discreto stato di conservazione e dotate di basi monolitiche, sono invece riferibili ad aperture (bifora o trifora) nel contesto della torre campanaria e della sala capitolare.
I reperti ceramici
Come di sovente accade negli scavi medievali, anche a San Michele la ceramica è risultata essere di gran lunga il reperto più comune. Sin dalle fasi benedettine di X-XI secolo è stato possibile reperire ceramiche da mensa acrome, sino ad arrivare alle decorazioni elaborate delle maioliche di XV sec., relative alle frequentazioni dei militari di Firenze.
Qui di seguito, a titolo d’esempio, alcuni dei pezzi ritrovati; un piccolo campionario di quanto esposto lungo il percorso della mostra.